sabato 26 gennaio 2008

PLACANICA: UNA SENTENZA "PESANTE"

"NON E' REATO SCOMMETTERE SUI SITI STRANIERI"da Italia Oggi del 25 settemmbre 2000Commento alla sentenza sulle attività degli Internet pointTribunale di Santa Maria C.V. – GUP – sentenza n. 1021 del 14 luglio – 12 settembre 2000
di Andrea Sirotti GaudenziAvvocato in Cesena

NON E’ REATO L’ATTIVITA’ DI UN INTERNET POINTCHE PROMUOVE L’USO DELLA RETE PER LE SCOMMESSE ON LINE GESTITE DA SITI STRANIERI

Il tema dei profili penali delle scommesse on line è stato al centro di una recente pronuncia del GUP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.Con la sentenza n. 1021 del 14 luglio – 12 settembre 2000, emessa dal GUP del Tribunale campano Antonio Pepe (consultabile sul sito http://www.dirittoitalia.it/), è stato dichiarato il principio in virtù del quale non è configurabile il reato di cui all’art. 4 della legge n. 401 del 13.12.1989 (esercizio abusivo dell’organizzazione di pubbliche scommesse su competizioni sportive) nell’ipotesi di attivazione di un internet point attraverso il quale gli scommettitori possano collegarsi al sito di un allibratore straniero, scommettendo on line.
La contestazione traeva origine dal verbale di sequestro operato dalla Guardia di Finanza di Capua presso un internet point. Veniva contestato al gestore del locale di svolgere attività di bookmaker illecitamente, dato che non era provvisto dell’autorizzazione prevista dall’art. 4 della Legge 13.12.1989 n. 401, nonché della licenza di P.S. ex art. 88 del T.U.L.P.S. e dell’autorizzazione comunale.L'ACCUSADagli atti dell’indagine si desumeva, in particolare, che presso il centro servizi erano presenti alcune postazioni Internet attraverso le quali era possibile connettersi al sito di un bookmaker inglese, configurandosi –in tal modo- un’attività di raccolta di scommesse in danaro su partite di calcio ed altri eventi sportivi sulla base delle quote di previsione fornite sistematicamente dallo stesso allibratore.L’accusa riteneva come fosse penalmente illecito il comportamento del gestore del locale, il quale metteva a disposizione dei propri clienti alcuni computer collegati alla “rete delle reti”, che potevano essere utilizzati tramite tessere prepagate fornite dallo stesso gestore. Inoltre, la connessione si rendeva possibile anche grazie alle istruzioni fornite da personale addetto all’assistenza “tecnica”.Particolarmente interessanti sono le conclusioni cui è giunto il GUP del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che non ha ravvisato gli estremi del reato previsto dall’art. 4, comma I, terza parte, della Legge 401 del 1989, in virtù del quale "chiunque abusivamente esercita l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire un milione”.Infatti, soffermandosi sulla natura dell’attività posta in essere dall’ internet point, il giudice ha rilevato come l’attività del locale rappresentasse una mera prestazione di servizio a favore di scommettitori che si recavano nel locale semplicemente per ottenere una connessione internet al fine di mettersi in “contatto telematico“ con il bookmakerbritannico, che svolge la sua attività di allibratore sulla base delle autorizzazioni rilasciate dal Paese in cui ha sede, nel pieno rispetto dell’ ordianmento del Regno Unito.LA GIURISPRUDENZAIn passato, di fronte ad un caso simile, la Cassazione ha avuto modo di precisare che “nel concetto di organizzazione delle pubbliche scommesse non rientra solo l’attività consistente nella scelta degli eventi sportivi sui quali scommettere, la predeterminazione delle quote con l’indicazione delle entità minime e massime di giocata, l’incasso delle somme scommesse o la corresponsione delle somme vinte – operazioni queste svolte dall’allibratore straniero -, ma anche l’attività di raccolta di scommesse, effettuata attraverso una organizzazione di uomini e mezzi mediante i quali vengono recepite e pubblicizzate in Italia le quotazioni degli allibratori stranieri, vengono effettuate giocate e trasmesse all’estero, può definirsi come attività di organizzazione di pubbliche scommesse e quindi necessita della relativa autorizzazione di cui all’art. 88 del TULPS", con la conseguenza che "nella fattispecie concreta il principio dell’ubiquità di cui all’art. 6 c.p. comporta che quando nel territorio italiano si effettui anche solo parte dell’organizzazione di pubbliche scommesse questa parte è soggetta alla legislazione nazionale, sebbene il resto dell’organizzazione faccia capo a società straniere e sebbene i giochi e le competizioni oggetto delle scommesse si svolgano all’estero" (Cass., Sez. III Penale, sent. 24.6.1997). Eppure, il GUP del tribunale campano ha rilevato che nel caso de quo non si potesse parlare affatto di “organizzazione” (dato che sarebbe stata necessaria una partecipazione attiva nella predisposizione dei mezzi necessari alla commissione dell’eventuale reato, completamente assente nella fattispecie), ma fosse ravvisabile una “condotta agevolatrice“ che -in ogni caso- non poteva “far pensare ad una partecipazione attiva nell’ organizzazione delle pubbliche scommesse”, dato che il “risultato” della stessa si limitava al guadagno, da parte del gestore del locale, “sulle somme spese dagli scommettitori per la connessione consentita (di regola per ore o frazioni di esse) e da una percentuale, versata dal bookmaker, sulla somma puntata tramite i computers di proprietà dell’odierna imputata e contrassegnati, per la contabilizzazione della stessa, per mezzo di appositi IP”.In sostanza, è stato evidenziato come l’attività posta in essere dal gestore dell’internet point non fosse in alcun modo diretta alla raccolta di scommesse e si è sottolineato come i contatti intercorrenti tra i frequentatori dell’internet point e il bookmaker britannico fossero diretti, dato che ogni scommettitore, ottenendo l’accesso al sito dell’allibratore, “può direttamente leggere le quote, può decidere di scommettere seguendo le modalità in esso indicate”. Inoltre, questo tipo di operazione era resa possibile dal fatto che gli scommettitori fossero titolari di conti correnti dai quali potevano essere effettuati il prelievo per la giocata e nei quali veniva versata la somma vinta (peraltro, chiunque, con un personal computer dotato di modem ha la possibilità di compiere queste scommesse dalla propria abitazione).In base all’interpretazione del GUP, la stessa percentuale sulle giocate effetuate riconosciuta dal bookmaker inglese non consentiva di ravvisare gli estremi del reato, dato che ciò avveniva sulla base di “un rapporto contrattuale che certamente non dimostra l’esistenza di una partecipazione alla organizzazione per l’esercizio delle scommesse posta in essere in Italia e come tale punibile secondo le leggi dello Stato Italiano.”Inoltre, nella sentenza si è sottolineato come fosse del tutto infondato il richiamo all’art. 88, comma I, del TULPS secondo cui "non può essere conceduto licenza per l’esercizio di scommesse, fatta eccezione per le scommesse nelle corse, nelle regate, nei giuochi di palla o pallone e in altre simili gare, quando l’esercizio delle scommesse costituisce una condizione necessaria per l’utile svolgimento della gara".Particolarmente significativo è l’esame della norma, di cui viene analizzata la ratio, identificata nell’esigenza “diretta a verificare, a mezzo del rilascio della licenza per l’esercizio delle scommesse, che la raccolta di pubbliche scommesse costituisca una condizione necessaria per l’utile svolgimento della gara o meglio per consentire lo svolgimento della stessa.”Considerato che gli eventi sportivi internazionali non sono sottoposti alla gestione del CONI o dell’UNIRE, è evidente che non è possibile un richiamo all’art. 88 del TULPS, che presuppone un sistema che collega l’esercizio e la raccolta di pubbliche scommesse con un utile svolgimento della gara e più in generale dell’evento sportivo. Anche volendo aderire all’interpretazione della maggior parte della giurisprudenza, se si riconoscee all’art. 88 la portata di norma generale contenente il divieto di organizzazione ed esercizio di pubbliche scommesse, non bisogna dimenticare che la norma, per potersi configurare la contravvenzione in esame, deve necessariamente essere coordinata con le disposizioni contenute nell’articolo 4, comma I, della Legge 401 del 1989.Inoltre, il GUP si è soffermato sull’analisi della liceità dell’eventuale divieto di ingresso nel territorio nazionale dei bookmaker autorizzati negli Stati membri dell’Unione alla luce delle disposizioni che sanciscono il principio fondamentale della libera circolazione dei servizi espresse dagli artt. 59 e ss. del Trattato di Roma. La libera circolazione dei servizi è di regola consentita all’interno degli Stati membri e tale principio può essere limitato unicamente da normative giustificate dall’interesse generale (come quello dell’ordine pubblico cheviene perseguito controllando l’attività di booking).LE CONCLUSIONIDagli elementi emersi, comunque, il tipo di attività posta in essere dal gestore dell’internet point non è tale da legittimare, seppure indirettamente, restrizioni al diritto di stabilimento ed allo svolgimento dell’attività transfrontaliera, pur previste e consentite dall’art. 66 del Trattato, con riferimento ad esigenze di ordine pubblico, “dato che si limita a fornire un servizio di mera intermediazione o puramente passivo che non interferisce su aspetti gestionali e decisionali della lecita attività del bookmaker inglese il quale, con l’osservanza delle norme dettate dallo Stato membro in cui ha sede, viene sottoposto ad un controllo affidabile cheobbliga lo Stato di destinazione al suo riconoscimento (c.d. principio del mutuo riconoscimento)”.In questo senso, è apprezzabile il risultato conseguito dal giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che -intendendo tener conto delle problematiche comunitarie- ha affermato che “…l’applicazione di norme restrittive per soggetti provenienti da Stati membri finisce per essere discriminatoria anche alla luce della recente evoluzione della legislazione italiana in materia di attività di scommesse. Sinteticamente si può ricordare che gli interventi normativi degli ultimi anni sono nel senso di un aumento delle opportunità di gioco da parte degli scommettitori italiani, circostanza questa che mal si concilia con la restrizione al diritto di stabilimento da parte di bookmakers stranieri che sarebbe stata invece certamente più coerente con una politica legislativa diretta al perseguimento di una riduzione nel territorio italiano delle opportunità di gioco. Non consentire tale attività per mezzo di norme restrittive, o interpretare la normativa italiana nel senso di porre limitazioni al diritto di stabilimento ed all’esercizio di attività transfrontaliera da parte di soggetti provenienti ed operanti in altri Stati membri significherebbe allora porsi in contrasto con le disposizione del Trattato CEE.”Avv. Andrea Sirotti Gaudenzi
IL TESTO DELLA SENTENZA
Tribunale di Santa Maria C.V. – GUP – sentenza n. 1021 del 14 luglio – 12 settembre 2000 in materia di organizzazione di pubbliche scommesse ai sensi dell’art. 4, comma I, parte III della Legge 401/89(da "DirittoItalia")

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